Fare i genitori è un viaggio. Pre-adolescenza, quella “terra di mezzo”.
Fare i genitori è un viaggio. Difficile e pieno di sorprese. Siamo in partenza sempre, per destinazioni sconosciute.
I nostri figli attraversano fasi e periodi. Crescono, e ci tirano dentro. Così dobbiamo attrezzarci, come meglio possiamo.
Quando sono piccoli, il loro mondo inizia e finisce con noi. Ci attribuiscono poteri magici: in un attimo ritroviamo i loro giochi preferiti, basta un sorriso per asciugargli le lacrime o raccontare una storia per farli sognare. La nostra parola è verbo. Sono cuccioli e si abbandonano; e nel loro sguardo ritroviamo il nostro posto nel mondo.
Nelle stanza delle partenze lo zaino è pronto, in attesa; eppure quando crescono siamo sempre impreparati. Ci buttano dentro a quella “terra di mezzo” che si chiama pre-adolescenza, e saltiamo nel buio.
Improvvisamente hanno meno bisogno di noi, perdiamo la magia che ci ha caratterizzato durante la loro infanzia, diventiamo criticabili.
E abbiamo paura. Una paura matta, non solo perché noi cambiamo ai loro occhi, ma perché loro cambiano ai nostri, e perdono un po’ di quell’incanto che ci permetteva di allentare le distanze.
Gli equilibri si modificano e noi dobbiamo trovare attrezzi nuovi per partire.
I nostri figli ci chiedono di venire a “patti”, ed è quello che dobbiamo fare. Ci chiedono di staccarci da loro con gradualità per farli autonomi. Di amare il nostro corpo come uomo e donna, per imparare ad amare il loro, nuovo di zecca, di cui spesso non sanno che farsene.
Di rispettare il loro bisogno di solitudine e di appartenenza al gruppo dei pari, e, il più delle volte, lo chiedono con la stessa “drammatica” intensità. Una drammaticità che ci spiazza.
Ma, soprattutto, ci vogliono credibili, e coppie “mobili“, per capire quel sentimento che gli fa battere il cuore e tremare le gambe, e per la prima volta solletica la loro sessualità.
È questo lo spazio del compromesso.
Quello che li porterà a essere ragazzi con una loro identità. E li renderà giovani attivi. È questo il tempo dell’esperienza del limite in cui dobbiamo contenere le loro ansie e preoccupazioni, insieme alle nostre. È questo il tempo in cui il padre deve riprendere il posto di marito o compagno, se non è stato fatto prima, e lasciare “respiri” ai figli, per ritrovare quelli di coppia.
E allora, scopriremo che gli attrezzi non ci mancano, che separarci da loro vuol dire aiutarli, e che la famiglia può tornare a essere luogo di rifugio.
E quella “terra di mezzo” è concime. Per noi e per loro, che non sono nostri ma della vita che avranno.