Esistono davvero i bambini tiranni? Proviamo a capire cosa c’è dietro.
Mi capita spesso di leggere articoli e libri che dipingono il bambino come un piccolo tiranno viziato, che fa i capricci e tiene in pugno i genitori.
Ma è proprio così?
Non mi soffermerò sull’analisi del perché molti autori prediligano dare un tale ritratto dei bambini.
Secondo una psicanalista recentemente scomparsa, Alice Miller, sono molte le regole di quella che lei chiama pedagogia nera, che ci sono state inoculate passando come modalità di educazione corretta.
Ciò è avvenuto senza una obiettiva disamina e trascurando le ricerche longitudinali in psicologia evolutiva che dimostrano non solo l’inefficacia sul lungo periodo, ma anzi un aumento della problematicità dei bambini soggetti a certe modalità di formazione.
Di solito i sostenitori del pugno duro con i bambini citano a loro favore i danni del laisser faire, del permessivismo. Molti genitori quindi mettono in atto questo stile educativo seppur soffrendo. Nel farlo pensando “è per il suo bene”. Si sentono spesso dire “non vorrai che cresca maleducato” o peggio ancora c’è chi prospetta che senza il timore nei confronti dell’adulto o della punizione possa diventare addirittura un delinquente.
Ormai sia la ricerca che il senso comune convengono nel dire che si insegna più con l’esempio che con con mille parole.
Voi ascoltereste un medico che fumandovi davanti o sapendo che è un fumatore vi dicesse che è dannoso farlo e che dovreste smettere?
In psicologia c’è un termine: apprendimento vicario. Un autore famoso a riguardo, Bandura, ha dedicato diverse ricerche e sperimentazioni su questo tema. Queste ricerche mettono in evidenza che i bambini riproducono e apprendono quello che vedono.
Se hanno almeno un esempio positivo i piccoli possono scegliere il comportamento da mettere in atto, e la tendenza dei bambini generalmente è di prendere il buono che c’è, quando c’è.
Quando nelle omelie si dice ai bambini di essere rispettosi con i propri insegnanti, ci si chiede:
qual è il clima che vivono in famiglia? A questi giovani viene insegnato il rispetto? Loro ricevono rispetto da genitori e insegnanti?
I bambini e i ragazzi mettono in pratica quello che sperimentano, sono individui in formazione.
Analizziamo alcuni possibili casi di bambini urlanti. Nel caso di un centro commerciale, una fiera, un museo, domandiamoci il bambino ha fame? Ha sonno? È andato al bagno? Da quanto tempo sta fuori casa? Quanto ha camminato? Anche gli adulti stanchi sono intrattabili. Un bambino inoltre nella maggioranza dei casi non è lì per libera scelta.
Anche se fosse in un super-mega-parco e fossimo andati lì per lui (o “per salvarci da lui/lei” intrattenendolo) la stanchezza lo potrebbe comunque colpire, nonostante voglia continuare a stare lì. I casi di “capricci” sarebbero una percentuale minima se venissero considerati i bisogni primari: fame, sete, sonno, riposo.
C’è poi una percentuale di bisogno che non è strettamente biologica, riguarda il soddisfacimento dei bisogni affettivi. Un bisogno di essere accuditi, di sicurezza, di vicinanza. I “capricci” per un giocattolo non sono per l’oggetto in sé, ma per un bisogno insoddisfatto del bambino.
Capita anche agli adulti di riversare su altro, ad esempio il cibo, lo shopping, la ricerca di un senso di soddisfacimento consolatorio, palliativo. In questi casi lo stato di benessere provato è fugace, non duraturo. Accade anche al bambino. Fa tanti “capricci” per ottenere un gioco di cui si stanca subito. In realtà vorrebbe tempo, amore, attenzione empatica.